A costo di apparire ripetitivi, più di un anno fa avevamo iniziato a segnalare ed argomentare circa la natura non transitoria dell’inflazione, che cominciava a palesarsi già nella tarda primavera dello scorso anno. Più recentemente, fin dai primi mesi di quest’anno abbiamo sottolineato quanto l’attuale shock inflazionistico rappresentasse un fenomeno planetario, causato sia dalle interruzioni della supply chain che dall’impatto del conflitto russo-ucraino sui prezzi dei prodotti alimentari e delle materie prime, con conseguenze nefaste per le nazioni di tutto il mondo. I differenti tempi di reazione delle Banche Centrali hanno contribuito a creare elevati differenziali tra i tassi di interesse reali nei mercati emergenti e nei mercati sviluppati. Proprio per queste ragioni, l’appuntamento di oggi è dedicato all’analisi di quelle che potrebbero essere le potenziali opportunità dei mercati emergenti.
Riteniamo infatti che l’attuale scenario, investendo sul debito locale dei paesi emergenti, possa offrire agli investitori opportunità di rendimento decorrelate. Le spinte inflazionistiche nei paesi emergenti rimangono forti e sono fortemente correlate a quelle dei mercati sviluppati. Confermiamo quanto scritto qualche settimana fa; secondo le nostre analisi, ci aspettiamo che l’inflazione nei paesi emergenti, così come negli USA, possa raggiungere un picco, per poi scendere gradualmente quest’anno e fino al 2023. Tuttavia vista la forza di questa spinta inflazionistica, non prevediamo che l’inflazione rallenti ai precedenti livelli del trend fino a dopo il 2023.
In generale, abbiamo elementi a sufficienza per ritenere che le banche centrali dei Paesi emergenti seguiranno le mosse della FED americana, man mano che si avrà una maggiore chiarezza sulle prospettive economiche statunitensi. È più probabile che l’inflazione degli emergenti rimanga elevata rispetto a quella dei paesi industrializzati, dato che i prodotti alimentari e l’energia hanno un peso maggiore nei panieri degli indici di inflazione degli emergenti. I differenziali dei tassi reali tra gli emergenti e i mercati sviluppati sono insolitamente elevati, e gli aggiustamenti dei tassi di riferimento dei primi appaiono in media più maturi, mentre le banche centrali delle economie sviluppate sono generalmente più avanti nei cicli di rialzo. Ciò potrebbe offrire agli investitori dei mercati sviluppati una rara opportunità di ottenere un potenziale rendimento decorrelato sotto forma di debito locale emergente, che è denominato nella valuta nazionale dell’emittente.
Come già avvenuto in occasione di precedenti cicli economici, l’apprezzamento delle valute dei paesi emergenti dovrebbe svolgere un ruolo importante nella discesa dell’inflazione. Probabilmente un importante contributo verrà dagli alti livelli di carry reale (ossia l’opportunità di indebitarsi in valute a basso rendimento per investire in valute a più alto rendimento) nei Paesi emergenti rispetto ai Paesi sviluppati. Sta, ad esempio, già accadendo in Brasile, dove il tasso di riferimento della banca centrale è salito al 13,25%, dopo oltre 11 punti percentuali di rialzo nel corso di questo ciclo, e il real brasiliano ha guadagnato circa il 10% rispetto al dollaro da inizio anno. Per diventare più rialzisti sulle valute emergenti, dovremmo vedere questa dinamica ampliarsi e rafforzarsi. Se ciò dovesse accadere, sarebbe un’importante segnale di rottura del dominio del dollaro nell’ultimo decennio.
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